04/05/2019 00:40
AS ROMA MATCH PROGRAM (T. RICCARDI) - Oggi si occupa di investimenti e di risparmi in Brasile, in un’agenzia specializzata che cura interessi anche per personaggi legati al mondo del calcio, ma in un passato recente è stato un calciatore. Un calciatore professionista, importante. Il portiere della Roma, che sfiorò uno scudetto clamoroso. Julio Sergio Bertagnoli oggi ha 41 anni da compiere (novembre 1978), ha smesso con il calcio giocato da cinque anni, ma resta un grande appassionato di questo sport. Di Roma, della Roma, in particolare: “Io ho la saudade al contrario. Mi manca tanto la vostra città e la vostra squadra”. Gran parte del suo successo nella Capitale lo deve a tre persone e ci tiene a sottolinearlo: “Claudio Ranieri, Giorgio Pellizzaro e il mio ex procuratore, Alessandro Lucci”.
Ranieri, l’allenatore che le affidò i gradi da titolare della porta della Roma.
“Con Claudio ci fu subito un gran rapporto, dai primi allenamenti. Io avevo giocato l’ultima partita di Spalletti con la Juventus, ma poi ci fu il cambio di tecnico e arrivò Ranieri. Con lui divenni titolare dopo il pareggio con l’Inter nella partita di andata, in campionato. Cercai di ripagare la fiducia del tecnico con grandi prestazioni e in alcune situazioni riuscii a dare una mano concreta alla squadra”.
C’è qualche parata a cui è rimasto legato?
“Senza dubbio le prestazioni nei due derby: all’andata feci un grande intervento su Mauri, al ritorno parai il celebre rigore a Floccari. Poi, le partite con l’Inter al ritorno e quella con la Fiorentina in trasferta”.
Qual è il segreto di Ranieri? Entra in corsa e sistema le cose. Successe dieci anni fa con lei sfiorando lo scudetto, è successo oggi.
“Lui è uno dei pochi tecnici, forse l’unico, che porta nello spogliatoio il suo essere. È trasparente, sincero, e si vede. Claudio è un signore e sa toccare i tasti giusti con ogni calciatore. Pure con quelli che non giocano. Ognuno è motivato a dare qualcosa in più, anche solo per il fatto di aiutare questo grande uomo. All’epoca andò esattamente così”.
Peccato che poi l’anno successivo – 2010-2011 – le cose non andarono allo stesso modo e la squadra naufragò a Genova, contro il Genoa, in una partita persa in modo paradossale.
“Una delle più incredibili giocate in tutta la mia carriera. Io ero il portiere di quella squadra. Eravamo in vantaggio di tre gol, mancavano meno di quaranta minuti alla fine, prendemmo quattro gol. Dormimmo per una mezzora abbondante. E quelle distrazioni ci furono fatali”.
Il tecnico si dimise nel post partita, venendo da voi negli spogliatoi.
“Sì, ma non ebbi modo per parlarci direttamente. Gli inviai un messaggio il giorno seguente, ringraziandolo per ciò che aveva fatto per me. La sera di Genoa-Roma, una volta tornati a Trigoria, ci fu la riunione con il direttore generale di allora, Montali, e al suo posto venne promosso Montella dalle giovanili”.
Montella, che preferì riaffidarsi a Doni come portiere titolare.
“Esattamente, ma non me la presi. Sono cose che nel calcio ci stanno. Montella riteneva che Doni fosse superiore al sottoscritto, accettai la decisione di buon grado mettendomi a disposizione del nuovo allenatore senza fare polemiche. Ogni mister ha le sue visioni, il compito del giocatore è di stare al suo posto e fare il possibile per aiutare la squadra”.
L’anno dopo la società cambiò gestione societaria e lei passò al Lecce, in prestito.
“Mi feci male ad un certo punto della stagione, finendo col giocare poche partite. Era il Lecce di Di Francesco, almeno all’inizio. In quel momento, superati i trent’anni, gli infortuni iniziarono a pesare sulla mia condizione generale. Tornai in Brasile dopo un paio di stagioni. Peccato, mi sarebbe piaciuto chiudere in modo diverso con la Roma, ma tant’è”.
In modo diverso come?
“Magari vincendo quello scudetto perso con la Sampdoria in casa. È il mio grande cruccio, ancora oggi. La verità è che in quel campionato spendemmo tanto, un po’ di stanchezza fisica e mentale ci beffò nel momento più bello. Un sogno, però, ce l’ho ancora…”.
Quale?
“Quella di tornare in Italia a lavorare nel calcio, magari proprio nella Roma. Sarebbe bellissimo. Sto studiando per diventare allenatore di prima squadra, voglio che questo sia il mio futuro”.
Aveva mai pensato di andare via dalla Roma prima della stagione 2009-2010?
“In alcuni momenti sì, soprattutto perché non giocavo mai. Non ebbi mai una possibilità concreta nella gestione Spalletti. Per questo ho voluto ringraziare anche il mio procuratore, Lucci. Fu Alessandro a portarmi a Roma, grazie alla segnalazione di Antonio Carlos Zago. Lui resta una persona perbene e un professionista bravissimo. Oggi è tra i migliori agenti in Italia. Ha avuto il merito di rassicurarmi nei momenti critici, convinto che prima o poi il mio momento sarebbe arrivato. E arrivò davvero”.
In precedenza, ha menzionato anche Pellizzaro come persona a cui rivolgere dei ringraziamenti.
“Giorgio era il preparatore dei portieri con Ranieri. Mi ha insegnato tantissime cose: sia di tecnica di base, sia alcuni segreti del mestiere. Andò via insieme a Claudio, dopo quel maledetto Genoa-Roma 4-3”.