12/08/2019 12:58
IL MESSAGGERO (M. FERRETTI) - Un applauso ironico, e anche un po' (tanto) stizzito, nei confronti di chi lo stava fischiando al momento della sostituzione. La faccia più nervosa che sorpresa per quello strano, inatteso commiato. Edin Dzeko si era congedato così dallo stadio Olimpico. Era il 26 maggio, la sera dell'addio della Roma a Daniele De Rossi. Quel giorno, ma lo abbiamo saputo (e nessuno l'ha mai smentito) solo parecchie settimane dopo, il bosniaco si era già promesso all'Inter. E probabilmente mai e poi mai, salutando il suo capitano e un campionato fallimentare, avrebbe immaginato di trovarsi a metà agosto con la maglia numero 9 della Roma ancora sulle spalle. Contava, alla vigilia o quasi di Ferragosto, di essere da tempo agli ordini di Antonio Conte. Non aveva fatto i conti, però, con Gianluca Petrachi, che a fine maggio era ancora il ds del Torino, e forse neppure con Beppe Marotta, dominante dirigente di un'Inter che pensava di portarlo a Milano per pochi milioni. Dzeko, questo assicura radiomercato, sarà prossimamente un giocatore nerazzurro, però ieri sera gli è toccato di giocare con la Roma all'Olimpico contro il Real Madrid, incassando stavolta senza particolare emozione - un po' di fischi dalla Sud al momento della lettura delle formazioni e anche del cambio con Schick.
SPETTACOLO PURO - Edin al passo d'addio, quindi? Lo scopriremo solo vivendo, come sempre. Edin grande protagonista della gara, intanto. Il bosniaco ha sciorinato tutto (o quasi) il suo straordinario repertorio tecnico, aggiungendoci quel grosso pizzico di determinazione che troppo spesso nei mesi passati aveva dimenticato negli spogliatoi. Regista d'attacco, rifinitore, finalizzatore, leader: tutto di tutto. Uno spettacolo. Qualità in quantità industriale. Una prestazione Internazionale, chiaro? Intorno alle sue giocate, la squadra palla al piede - ha girato in maniera convincente. Ma Fonseca potrà contare ancora sul vistoso aiuto tecnico-tattico del suo gigantesco centravanti? Mah. Una cosa è sicura: per la Roma trovare uno più forte del Cigno di Sarajevo, che ha chiuso con la fascia di capitano al braccio, sarà complicatissimo. Petrachi lo sa, ecco perché ha tenuto duro. Ora, però, deve puntare altissimo.