25/08/2019 15:47
LA REPUBBLICA (F. BOCCA) - Una lezione di teoria, il 4-2-3-1 sulla lavagna, video e persino una spolverata del calcio di Andreazzoli - oggi guida del Genoa - che a Roma conoscono benissimo e che proprio qui ha cominciato il suo percorso di allenatore di Serie A. Non c’è molto di nuovo nella prima notte della nuova Roma all’Olimpico, quindi i riflettori sono tutti per Paulo Fonseca, il brillante portoghese cui il club ha affidato la rifondazione della squadra dopo averne potato le radici (Manolas, De Rossi, El Shaarawy) e messo tutto quanto - il nuovo e il vecchio - in un frullatore che ha versato fuori un milkshake ancora non ben identificato. Ma che al momento vale più o meno i frullati di Di Francesco e Ranieri. Dunque uso molto paraimonioso, praticamente solo l’indispensabile (il portiere), dei nuovi (Pau Lopez, Diawara, Veretout, Mancini, Zappacosta, Spinazzola) e squadra secondo i vecchi canoni per non andare incontro a brutte sorprese. Una rivoluzione lenta e per ora molto mascherata.
La Roma non ha ancora sostituito Manolas andato a rinforzare un Napoli da scudetto e per adesso temporeggia un po’, non completamente convinta di investire cifre spropositate su Rugani. Che praticamente le verrebbe a costare quasi di più di quanto abbia guadagnato dalla cessione di Manolas. “È certo - ha detto Fonseca - che un difensore centrale mi sarebbe piaciuto averlo da subito, ma ho piena fiducia nei giocatori che ho”. Al di là di tutta la diplomazia dell’allenatore portoghese il buco c’è e preoccupa non poco. La nuova Roma si attacca al vecchio Dzeko della cui partenza si era certi e sicuri alla fine della deludente passata stagione. Al pronti via Dzeko è ancora qui convinto soprattutto a forza di milioni che hanno scacciato via tutta la voglia di Inter che aveva. La Roma ha bisogno di ben più degli scarsi 9 gol dell’ultima stagione, altrimenti finirà anche col rimpiangere il fatto di averlo convinto a restare con un contratto stramilionario fino a quando avrà 36 anni. Non c’è più De Rossi in campo, non c’è più Totti in società. È anche questo un vuoto che non puó non sentirsi. È la svolta, la deromanizzazione che il club cercava da anni