14/09/2019 14:11
IL MESSAGGERO (G. SCARPA) - Marcello De Vito rimane ai domiciliari. La suggestione di rivederlo seduto sullo scranno di presidente dell'assemblea capitolina, a partire dal 20 settembre, sfuma di fronte alla decisione assunta dalla procura: immediato cautelare. Un provvedimento che obbliga De Vito tra le quattro mura della sua abitazione, almeno per un anno. Quasi sicuramente, pertanto, passerà agli arresti il tempo necessario a concludere il processo che lo vede imputato per corruzione e traffico di influenze sull'affaire del nuovo stadio della Roma.
IN CAMPIDOGLIO Era questa una delle carte da giocare nelle mani della procura. Un rito, l'immediato, che accelera l'attività processuale. Si va, infatti, al dibattimento senza passare dall'udienza filtro del gup e inoltre congela la misura cautelare che, venerdì prossimo, sarebbe scaduta. È questa una vicenda giudiziaria che, inevitabilmente, si intreccia con la politica. Non solo per l'oggetto del processo, ma anche per lo scranno ricoperto in Comune da De Vito fino al 20 marzo. Giorno in cui gli sono piombati a casa i carabinieri per portarlo in carcere. Ruolo, quello di numero uno del consiglio, da cui De Vito non è mai decaduto e che avrebbe potuto rivendicare nei giorni immediatamente successivi al 20 settembre. Opzione, però, che adesso non potrà rivendicare.
LA RINUNCIA Gli avvocati di De Vito, il 9 settembre, avevano comunicato di rinunciare ad un nuovo responso da parte del Riesame. Una scelta, quella dei legali Angelo Di Lorenzo e Guido Cardinali, non priva di senso. Il tribunale delle Libertà, infatti, in prima istanza, aveva accolto le richieste cautelari imposte a De Vito dal gip. Successivamente la Cassazione, il 26 agosto, aveva criticato l'impianto accusatorio stabilendo un nuovo rinvio al Riesame. Tribunale che si sarebbe dovuto esprimere il 10 settembre, con lo stesso giudice relatore che si era pronunciato la prima volta e che aveva accolto le richieste contenute nell'ordinanza. Questo, lunedì scorso, aveva spinto gli avvocati a rinunciare, nella speranza che i pm non andassero verso l'immediato cautelare (scelta che ieri la procura ha deciso di perseguire) e con in tasca la decisione della Cassazione che aveva segnato un punto a favore della difesa del politico. Gli ermellini, infatti, avevano sostenuto che l'ordinanza si baserebbe su un «pre-giudizio» legato all'inchiesta che aveva già portato il costruttore Luca Parnasi, accusato di essere il grande corruttore, a processo. «L'erogazione di denaro, o la messa a disposizione a politici di utilità, sì da consentire all'imprenditore di alzare il telefono - come diceva Parnasi intercettato, ndr - in qualsiasi momento a tutela dei propri interessi» era sicuramente «finalizzata a pratiche corruttive». Ma si tratta dell'indagine precedente, e «tale circostanza non può risolversi in un automatico pre-giudizio, alla stregua del quale orientare la lettura di tutti i fatti successivi». Per la Corte, dalle dichiarazioni di Parnasi emerge l'intento di accreditarsi con il Movimento, ma le sue parole non hanno «il valore confessorio di un patto corruttivo».