22/03/2020 15:22
LA STAMPA - Il presidente del Torino Urbano Cairo, nella lunga intervista rilasciata al quotidiano oggi in edicola, si è soffermato, tra le tante cose, anche sulle polemiche riguardanti la data di ripresa degli allenamenti e del campionato di Serie A. Queste le parole del patron granata:
Sembra passato un anno, presidente, eppure solo quindici giorni fa i club si mettevano le dita negli occhi per le porte chiuse, no aperte, mezze chiuse, no mezze aperte. Perché così tanto tempo nel trovare una direzione comune?
«Se penso che nell’assemblea di Lega del 10 marzo c’era ancora chi parlava di allenarsi e di tornare a giocare, è logico che si sia perso tempo. Quei discorsi, a risentirli ora, sembrano lunari. Io lo dissi subito, "se non prendiamo decisioni drastiche, anche spostare i tifosi contribuirà ad aumentare esponenzialmente i contagiati"».
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Sulla manfrina Uefa su Champions ed Europa League: era così difficile bloccare tutto subito?
«No, ma sono subentrati gli egoismi dei Paesi. Che allora, si sentivano immuni dal contagio e vedevano in difficoltà solo l’Italia. L’Uefa ha cercato di preservare coppe ed Europei con motivazioni sportive e soprattutto economiche, poi si è dovuta arrendere quando si sono resi conto che il virus non era solo un’emergenza italiana. Anzi, il resto del mondo si è adeguato a noi».
Il calcio italiano ha un fatturato di circa 4,7 miliardi all'anno eppure spesso manca di un piano strategico: più che a un’industria assomiglia a un pollaio con ancora troppi galli. Possibile?
«Questa emergenza ci ha compattato, c’è più unità di prima. Molti falchi sono diventate colombe anche se è rimasto qualcuno che vuole fare il fenomeno, che rompe il fronte per avere vantaggi. Furbizie, atteggiamenti di piccolo cabotaggio. Non è il momento».
De Laurentiis e Lotito, presidenti di Napoli e Lazio, sembrano andare in un’altra direzione rispetto alla maggioranza dei club. Perché?
«Lo chieda a loro. Solo, mi sembra una follia sostenere una tesi sulla base dei dati del contagio. Dire "la mia regione non ha problemi" con una situazione così in evoluzione è una frase infelice. Poi esplode il virus a Fondi e allora...».
Dicono che la settimana prossima faranno allenare le loro squadre, i medici sportivi hanno chiesto lo stop fino a 3 aprile. È proprio necessario scendere già in campo?
«Intanto ci sono almeno 16 società che non la pensano così».
Perché allora Lazio e Napoli hanno rotto il fronte?
«Immagino per interessi sportivi. Forse per avvantaggiarsi nella preparazione».
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Crede ancora di finirlo questo campionato. E se sì, quando e come? E se no, che cosa sarà dei titoli sportivi?
«Inutile avventurarsi in previsioni, davanti a una pandemia noi non possiamo che navigare a vista. Fissare un inizio o una fine ora è senza senso, ma nel caso riprendessimo l’ipotesi porte chiuse è la più probabile».
Altra questione sul tavolo, il taglio degli stipendi ai calciatori proporzionale al periodo di inattività. Come finirà?
«Sarà inevitabile. Siamo di fronte a un problema di sistema che rischia di implodere senza accorgimenti importanti. Credo che i calciatori siano i primi a non volerlo, sono ragazzi che hanno testa. Qui bisogna limitare i danni, poi si penserà alla ricostruzione economica. Del calcio come di tutti gli altri settori».
Congelare gli stipendi all'8 marzo, ultima giornata di campionato: agirete così? E con una contrattazione collettiva o società per società?
«Il riferimento all'8 marzo mi sembra plausibile. E sarà una contrattazione collettiva perché è giusto che i sacrifici siano ripartiti in maniera equa».
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