05/04/2020 18:32
IL FATTO QUOTIDIANO (L. VENDEMIALE) - Nel calcio italiano fermato dal Coronavirus è in corso una guerra fra ricchi che si sono riscoperti poveri. L'ultimo fronte è il taglio degli stipendi dei giocatori, inevitabile perla tenuta del sistema, su cui però le parti non trovano accordo.
ANCORA più intransigente degli stessi calciatori, che ad esempio alla Juventus un'intesa l'hanno già firmata quasi sfiduciando i loro rappresentanti, pare il loro sindacato diretto da Damiano Tommasi. Che promette sacrifici ma li pospone, frappone paletti, difende i suoi interessi. Qualcuno potrebbe chiamarli privilegi, da parte di chi del sindacato ha fatto una vera professione, pure ben pagata. L'Assocalciatori, nata per tutelare la fascia debole della categoria, ogni tanto finisce per assomigliare a quella ricca. Non tutti i calciatori sono Cristiano Ronaldo: in Serie C ce ne sono oltre mille al minimo federale di 26mila euro l'anno, che non possono restare senza stipendio come qualsiasi lavoratore. L'incapacità dei patron, litigiosi e preoccupati solo di non rimetterci, è il vero ostacolo alla trattativa. Ma fin qui il sindacato che rappresenta la categoria più fortunata d'Italia ha trovato più problemi che soluzioni.
Negli anni è diventato un centro di potere votato all'arroccamento, come nel 2018, quando il veto di Tommasi portò al disastroso commissariamento del Coni. Come tutti i centri di potere garantisce benefici a chi lo dirige, pure economici. A partire dal suo presidente, che da calciatore viene ricordato anche per aver giocato un anno al minimo sindacale dopo un grave infortunio, e oggi guadagna da sindacalista. Lo statuto dell'associazione, in realtà, non parla di compensi, ma i vertici hanno trovato il modo di averne uno lo stesso: attraverso la società di servizi, la Aic Service, che si occupa un po' di tutto, dall'attività pubblicitaria a quella editoriale, e paga i suoi amministratori, in carica per quattro anni, rieleggibili. Ed è la stessa Assocalciatori a decidere quanto, e chi. Nel 2017 risultavano a bilancio 477mila euro alla voce "compensi ad amministratori", nel 2018 addirittura 632mila. Da dividere per otto, ma non in parti uguali: il grosso spetta a chi comanda. Nel Cda, che conta ben tre amministratori delegati, ci sono tutti i capi presenti, passati e futuri dell'Aic: non solo Tommasi, anche il suo storico predecessore, Sergio Campana, che a quasi un decennio dall'addio figura ancora come consigliere. Oppure Umberto Calcagno, vice ed erede designato alle prossime elezioni che dovevano tenersi in primavera ma potrebbero slittare a fine 2021 dopo le Olimpiadi.
INTANTO è in buona compagnia: per l'Aic lavora pure suo fratello Alessandro, per l'ufficio legale dell'Associazione. "Io ero a capo del legale, è avvocato anche lui, abbiamo fatto i fiduciari insieme - spiega -, non vedo perché avrebbe dovuto lasciare quando sono diventato vice". Quanto ai compensi, "non possiamo fare gratuitamente questo lavoro, visto che non abbiamo tempo per fare il nostro". Nel pallone non c'è posto per anime candide.