19/06/2020 15:55
IL FATTO QUOTIDIANO (V. PACELLI / T. RODANO) - La festa per la Coppa Italia a Napoli è la fotografia di uno sfasamento. Quello tra le leggi ancora in vigore e la percezione pubblica di ciò che resta della pandemia. Tra l'atteggiamento degli scienziati e quello di molti amministratori e cittadini. I fatti sono noti: mercoledì sera la squadra di Gattuso vince il primo trofeo del calcio post-quarantena e in città si riversa una folla spontanea di migliaia di persone. Canti, fumogeni, bagni nelle fontane e ovviamente nessun distanziamento sociale. Il giorno dopo, la notizia è il distacco siderale tra le denunce dei virologi (che si rifanno alle leggi vigenti) e la serenità delle istituzioni: i primi sono in fase 3, gli altri in fase 4, 5, o 6. L'allarme pubblico lo pronuncia in televisione (Agorà su Rai3) Ranieri Guerra, direttore aggiunto dell'Organizzazione mondiale della sanità: "Sciagurati! - si riferisce ai napoletani scesi in piazza - Non ce lo possiamo permettere. Per fortuna a Napoli l'incidenza del virus è più bassa che altrove. Fa male vedere queste immagini. Ricordo quanto ha contato la partita dell'Atalanta all'inizio dell'epidemia in Lombardia. Non vorrei che si ripetesse".
Giuseppe Ippolito, direttore dello Spallanzani e membro del Comitato tecnico scientifico, definisce i festeggiamenti dei tifosi "situazioni disgustose" (lo leggete in questa pagina nell'intervista di Marco Pasciuti). "Tutte quelle persone - aggiunge - andrebbero identificate e tracciate. Se non bastano consapevolezza e senso di responsabilitàè evidente che ci vogliono sistemi più rigidi, volendo anche coercitivi".
PER LE ISTITUZIONI che avevano la responsabilità dell'ordine pubblico a Napoli, invece, quelle di Guerra e Ippolito sembrano preoccupazioni aliene. Ripetono tutti, con formule diverse: sarebbe stato semplicemente impossibile impedire alle persone di scendere in piazza. Nessuna ordinanza o pianificazione preventiva dell'ordine pubblico sarebbe stata legittima o efficace. Di prima mattina il sindaco di Napoli Luigi De Magistris (ospite di Coree Break su La7) definisce invece la festa dei napoletani "il contagio della felicità" Preferisce non rispondere alle domande dei giornalisti, ma diffonde un lungo comunicato: "Ormai dai primi di giugno a Napoli c'è contagio zero e ieri sera in piazza c'erano solo napoletani. Inoltre non capisco chi sarebbe dovuto intervenire: dovremmo fare appello al lanciafiamme rimasto senza fuoco del presidente della Regione? Né tantomeno ritengo che si potesse ipotizzare che le forze dell'ordine intervenissero a separare le persone con il battipanni". Al di là dei toni folkloristici, la linea De Magistris per una volta è la stessa di De Luca. Il governatore-sceriffo ieri si è rifiutato di parlare degli assembramenti, ma lo farà oggi, anche per rispondere alle provocazioni sul tema del "somaro Salvini". Ma la versione informale della Regione Campania è questa: il "lanciafiamme" è rimasto nel cassetto perché non ce n'è più bisogno. In Regione i nuovi casi sono praticamente azzerati, dalla prossima settimana cadrà anche l'obbligo di portare la mascherina all'aperto. E la linea di De Luca, coincide a sua volta con quella di Prefettura e Viminale. Nessun caso - sostengono fonti della polizia locale -: sarebbe stato impossibile predisporre forze dell'ordine in tutta la città per impedire raggruppamenti spontanei, non annunciati. Gli agenti impiegati, oltre un centinaio, si sono concentrati sul mantenimento dell'ordine pubblico (messo a dura prova) invece che su impossibili sanzioni per evitare gli assembramenti. Anche dagli uffici del ministero dell'Interno declinano ogni responsabilità: non si può interferire sul diritto delle persone di manifestare. Vale perle piazze della politica come per quelle dei tifosi.
IL RISULTATO finale è che la foto di Napoli dice questo: se non è "liberi tutti", poco ci manca. Al di là delle norme e dei moniti degli scienziati. Intanto l'ultimo bollettino della Protezione civile ribadisce che il virus - pure se non in Campania - circola sempre: 333 nuovi positivi (64,8% in Lombardia), 66 morti, 1.089 guariti. Per la prima volta da oltre un mese aumenta (di 5 unità) il numero dei ricoverati in terapia intensiva