07/05/2021 23:07
GIANLUCADIMARZIO.COM - Ieri subentrato al posto di Smalling contro il Manchester United, Ebrima Darboe ha stupito offrendo una prestazione di livello. "Sì, abbiamo cominciato lavorando insieme. Ma ormai fa parte della mia famiglia. Ora diventerà uno di mia famiglia. Ma davvero. Proprio così, mio papà a breve lo adotterà", ha raccontato Miriam Peruzzi, che ieri Darboe ha ringraziato nell'intervista postpartita.
"Come da diverso tempo, mi trovavo a Rieti, nella giuria della Scopigno Cup. Erano tre anni fa, me lo ricordo come fosse ieri. Mi sono specializzata nel calcio africano: Gambia e Senegal ma non solo. Chiunque nel settore lo sa: mi sono fatta le ossa anno dopo anno, sudandomi questa posizione. Durante quei giorni, erano venuti a parlarmi due ragazzini: Ibra e Francis Gomez (21 anni, centrocampista centrale ora alla Recanatese, ndr). Mi avevano chiesto con grande insistenza di vederli, di poterli valutare. Ma giocavano nello Young Rieti, una squadra amatoriale che partecipava a un torneo di zona. Io guardavo Palmeiras, Roma… Avevo davvero la testa altrove", ha detto.
"Mi sono detta che con tutti i sacrifici che ho dovuto fare io per farmi notare, non avrei potuto negare a loro, che per giorni mi hanno chiesto di visionarli, questa possibilità. E quindi sono andata. Ebrima era molto magro, esile, ma aveva una visione superiore alla media. Come Francis. Erano entrambi davvero molto svegli, non c’entravano nulla con quella categoria: rapidità di gioco, passaggio di prima, giocate pulite…- ha aggiunto -. E infatti, prima di proporlo alla Roma ci ho pensato bene. Ma lì c’era Massara, che con Massimo Tarantino ha notato subito le qualità del ragazzo. Io con loro ero stata chiara: fisicità e tecnica migliorano anno dopo anno, ma l’intelligenza o c’è o manca. E Ibra ne ha tantissima".
"E sono felicissima di questo: Giorgio (Ghirardi della Vigo Global Sport Services, ndr) è il mio migliore amico, dei contratti non voglio sapere nulla. Io penso al campo: uno scout deve girare, respirare l’erba, parlare con i giocatori, conoscerli. Tre anni fa, Darboe era solo un ragazzino, ora è un uomo, che ha le potenzialità di fare bene ad altissimi livelli. Il lavoro dietro? Enorme, credetemi - ha continuato -. Papà tutte le sere lo chiamava per dargli nozioni di tattica, e nei weekend, quando non giocava, veniva a casa sua a Marciano della Chiana. A casa mia si parla di tattica e calcio, una cosa da diventare matti. Ibra aveva bisogno anche di questo: il padre non c’è più da nove anni, la mamma è rimasta in Gambia. Ha due sorelle e un fratello più piccolo. A Roma, in un contesto come quello, poteva sentirsi spaesato".
"Con mio papà e pure mia mamma non sono mancati gli scontri, eh: culture, abitudini, perfino religioni diverse. Sono aspetti che contano. Spesso si pensa che il calcio sia solo in campo, invece la maggior parte è fuori. E poi c’era quel problema del fisico: pesava 50 kili, ne ha presi venti lavorandoci giorno dopo giorno, anno dopo anno. Per fortuna esistono figure come Alberto De Rossi, Morgan De Sanctis: fanno il bene della società e hanno fatto il bene di Ibra", ha detto ancora.
"Ma la differenza è che qui siamo riusciti a prendere davvero un giocatore dal nulla per farlo diventare un campione. Attenzione, sia chiaro: non stiamo parlando di Cristiano Ronaldo. Nemmeno per sogno. Ma se oggi Ibra entra contro il Manchester United, senza sentirsi spaesato, fa bene, e sento dire da tanti che è forte... beh, un po’ di soddisfazione me la prendo", ha concluso.