18/06/2021 08:13
Venti anni dopo, Marco Delvecchio ha 48 anni e si gode la sua vita a Dubai. Fa avanti e indietro con la Capitale, che gli è rimasta nel cuore, anche grazie a quel 17 giugno di venti anni fa. Le sue parole:
Che ricorda di quel caldo pomeriggio all’Olimpico?
C’era un clima surreale, e anche un po’ il timore di non farcela, che il sogno svanisse. Nessuno di noi dimenticherà.
Quando lo avete capito?
Già l’estate, nel momento del raduno, quando ci guardavamo in faccia. Vedevo Batistuta, Totti, Emerson, Montella, allora sì, si poteva fare. C’erano calciatori di grande personalità, uomini veri. Juve-Roma è stata la foto di questo aspetto: sotto di due gol nella partita chiave, ed ecco la rimonta che non ti aspetti.
E’ stata la vittoria del gruppo?
Io al gruppo unito ho sempre creduto poco, noi non lo eravamo. Ma abbiamo vinto perché al momento opportuno, in campo, sapevamo essere squadra. Eravamo un mix di diversità ma ognuno di noi aveva la determinazione di voler vincere.
Lei si è saputo sacrificare in un ruolo poco appariscente ma determinante.
Sì, Capello mi chiedeva di coprire e di ripartire. All’inizio ero un po’ in difficoltà per me che ero un attaccante, ma poi mi sono trovato bene. Diciamo che il mio contributo non è mancato.
Qualche gol decisivo lo ha segnato: bella l’immagine di quello di Bergamo.
Sì, poi ci sono stati quelli alla Lazio. Ci siamo divertiti.
Batistuta, determinante?
I suoi gol ci hanno dato la spinta emotiva e i punti decisivi. Non dimentico gli altri: da Tommasi a Candela, da Montella a Totti e i vari Mangone, Zanetti. Insomma, tutti.
Vent’anni e in mezzo pochi successi.
E’ un peccato, Roma merita di stare in alto, per la città che è e per la passione dei tifosi. Qui vinci e resti immortale, ma c’è bisogno di altro. Speriamo che Mourinho non ci lasci soli, e che faccia in modo che un’altra squadra raggiunga la soddisfazione che abbiamo vissuto noi.
(Il Messaggero)