01/04/2022 09:19
GASPORT - Spesso si parla dei grossi costi di gestione affrontati dalle società calcistiche, costi che rendono sempre più critica la situazione del movimento italiano. Spesso si pensa che tali spese siano costituite in larga parte dagli stipendi dei calciatori, ma il presidente AIC Umberto Calcagno si oppone a questa visione: «Lo dice il Report -Calcio, il monte stipendi, parliamo di stipendi, è di poco superiore al 50 per cento».
Eppure si parla di una cifra vicina al 70 per cento per diverse società
«Una cosa sono gli stipendi, un’altra gli ammortamenti, bisogna chiarirlo».
Tuttavia il sistema non ce la fa e una riduzione è inevitabile perché non finisca tutto a rotoli. Per questo si parla sempre più di salary cap
«Non ci si può accusare di scarsa sensibilità nei confronti del problema della sostenibilità. Le forme di salary cap sono diverse. Siamo totalmente a favore delle regole che aiuteranno la sostenibilità. Noi sosteniamo sia il sistema di monitoraggio e controllo che si sta definendo in Federcalcio, sia quello che la Uefa farà scattare in campo internazionale. Il tema non è quello di far scappare chi vuole investire nel calcio. Per spendere, però, bisogna poterselo permettere».
Ma resta il dato di compensi insostenibili.
«Sono le stesse società che firmano. E noi siamo davvero preoccupati per i costi dei club».
Le norme che regolano il sistema non producono rapporti di forza troppo favorevoli ai calciatori come per esempio la corsa ad andar via a parametro zero?
«Io penso che il sistema vada ripensato a livello di progettualità. Non è una questione di norme. La verità è che prevale una totale assenza di stabilità, c’è un continuo mordi e fuggi persino nella scelta dei dirigenti che vengono cambiati in continuazione. Si preferisce sempre la strada più facile: andare all’estero, magari sfruttando i vantaggi fiscali del decreto “crescita”, e depotenziare i vivai».
E allora come se ne esce?
«La sostenibilità è fare degli investimenti. Sui vivai, sulla crescita dei giocatori selezionabili per la Nazionale, e perché no sulle seconde squadre. Perché, tranne la Juve, nessuno è riuscito a investire sulle seconde squadre?».
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