19/05/2022 08:07
IL TEMPO (E. ZOTTI) - Nel futuro di José Mourinho c'è soltanto la Roma, almeno per altri due anni. Nel «media day» imposto dalla Uefa in vista della finale di Conference League - lo Special One ne avrebbe volentieri fatto a meno - il tecnico ha risposto in modo chiaro alle domande sul suo futuro: «Mi piace essere qui alla Roma, è visibile, si sente, ho accettato un certo profilo di un progetto che dura 3 anni e non penso di andarmene per i prossimi 2. Poi vedremo che direzione prenderà, a volte i progetti si avvicinano alle aspettative o si allontanano».
Perché nella mente di Mou per fare il salto necessario a lottare stabilmente per il vertice della classifica, oltre ad un progetto di qualità, servono soprattutto giocatori funzionali e investimenti all'altezza delle ambizioni del club. Intanto mercoledì prossimo avrà la prima occasione di entrare per sempre nella storia della Roma, conquistando il primo trofeo dopo oltre 14 anni. Prima però c'è un'altra finale da giocare contro il Torino per garantirsi l’accesso alle coppe e scongiurare il pericolo di rimanere clamorosamente fuori dall'Europa: «Questo rischio esiste, non è uno scenario impossibile. Esiste e ci sono due finali da giocare, ipoteticamente si possono perdere entrambe. C'è gente che pensa che dovremmo dimenticare la partita con il Torino, far riposare tutti e concentrarci sul Feyenoord - spiega il tecnico - la mia filosofia invece è puntare tutto su venerdì. Il problema è che non devo essere il solo a pensare in questo modo, i giocatori devono pensare lo stesso così come il mio staff».
Ed è proprio la crescita mentale una degli aspetti che Mourinho sta cercando di allenare dentro e fuori Trigoria. Per Mou è fondamentale sviluppare una mentalità vincente anche per la piazza e i tifosi, per non lasciarsi trascinare da facili entusiasmi: «A Roma è più difficile far concentrare la gente prima di una finale. Prima di vincere la Champions con l'Inter ci giocavamo lo scudetto, se non avessimo vinto l'ultima di campionato non lo avremmo vinto. E si pensava solo alla partita decisiva per lo scudetto, non a quella dopo. Al Porto è successo esattamente lo stesso. Qui c'è un'euforia generale che si sente e che non aiuta a concentrarsi a una gara importante». E ancora: «E qualcosa che si sente anche per la strada. La gente non ti sprona per Torino. Tutto questo nasce dalla gioia di giocarsi una finale e di avere il 50% di possibilità di vincere un trofeo, ma la priorità per me è venerdì, non ho problemi ad ammetterlo».
Parole che ricordano quelle di Sarri, che aveva parlato di mentalità provinciale in merito all'eccessiva importanza che i tifosi della Capitale riservano alla rivalità cittadina: «Sono d'accordo. Non si deve guardare a destra o sinistra della posizione in cui si arriva per dire "siamo finiti davanti” è troppo poco. Lo dicevo anche quando abbiamo perso il derby e quando lo abbiamo vinto. È troppo ma è cultura popolare, fa parte del calcio e io come allenatore devo imparare questo aspetto. L'ho sempre fatto e ho cercato di farlo anche a Roma. Quando sei qui diventi romanista e le cose hanno la loro importanza. Tra il quinto e il sesto posto non c'è differenza, tra quinto e settimo c'è differenza, così come tra quarto e quinto».