27/05/2022 08:27
Giunti a questo punto ci sono due desideri intrecciati che difficilmente si realizzeranno. Carlo Ancelotti non allenerà mai la Roma, che pure da vero tifoso ha chiamato “magica” nel tweet di congratulazioni per la Conference. Dopo Tirana la Roma appartiene a José Mourinho in un modo viscerale, e molto porta a immaginare un legame duraturo nel tempo, o almeno più lungo dei bienni/trienni al massimo che hanno ritmato la sua carriera. La raffinatezza del pensiero strategico di Mou, che non ha pari nella storia del calcio (almeno quello moderno), è emersa perfino tra i singhiozzi delle interviste flash, quelle che si fanno sul campo nei minuti immediatamente successivi il fischio finale. Mou l’unica rockstar delle panchine. Il che ci porta al secondo desiderio destinato verosimilmente a rimanere tale: José non tornerà più al Real. Certo, in via teorica i suoi 59 anni, come i 62 di Carletto, lascerebbero un po’ di spazio a un’avventura estrema: ma Ancelotti ha già detto che il Real, duri quel che duri, sarà il suo ultimo club, mentre Mourinho mantiene sempre quel progetto sulla nazionale portoghese. Per quanto i due siano molto diversi tatticamente e pressoché agli antipodi dal punto di vista caratteriale, la brillantezza delle rispettive primavere induce a cercare un trait d’union. Il più evidente è l’enormità delle loro bacheche personali, scaffali su scaffali di trofei da far invidia al 90 per cento dei club europei, mica soltanto ai colleghi. È questo particolare tipo di rispetto, quello che nasce dai fatti (che nello sport sono i risultati), a governare i rapporti fra Ancelotti e la sua squadra. Per Mourinho alla Roma è un po’ più facile, guida un gruppo di gente che ha vinto poco, gli basta stimolarne la fame per tirar fuori prestazioni di irriducibile agonismo: guardate il modo in cui i romanisti crollano sul campo al fischio finale, e avrete un’idea di come gli ultimi dieci minuti siano stati giocati malgrado il serbatoio fosse vuoto (e non erano certo in discesa).
(La Repubblica)