Quel fondale magico che trasforma la folla in popolo

27/05/2022 08:51

Le feste del calcio degli altri sono emozione, lefeste del calcio di Roma - chissà perché - sono sociologia. C'è questo posto, c'è questo sentimento, su cui fuori Roma si sentono spesso liberi di fare dell'ironia. Uno dice Circo Massimo, e quelli ammiccano, sorridono, tirano fuori i prestampati con le battute del 1984. C'è questo posto, c'è questo sentimento, che a pochi interessa capire fino in fondo. Sulla folla di Roma è facile farsi bastare le vecchie certezze, in genere costruite lungo due vie. È un fondale, Roma. Così diceva Montale. C'è questo posto, allora - c'è questo sentimento - che autorizza ogni tanto a sfottere Roma e la sua gioia, a trattarla con sufficienza, snobismo, superiorità.  È una condanna, un riflesso di quel senso di lontananza che suscita questa città, l'auto-consolazione presente altrove nel pensarsi diversi dalla capitale, il corpo estraneo del Paese, il bubbone inefficiente, moralmente corrotto, coi suoi costumi da disonorare. Manzoni non ebbe mai voglia di venirci e Cavour nemmeno, trovava addirittura che gli fosse più vicina Londra, mentre Vittorio Emanuele II vi scese sempre malvolentieri. D'altra parte era opinione di Giovanni Russo che «la stampa settentrionale è lo strumento della formazione dell'opinione, mentre Roma non ha mai svolto questo ruolo». Roma allora si è lasciata sminuire, ogni tanto perfino si presta a lasciarsi ritrarre per parodie. Ha visto stuprata la sua lingua. Ha perso la propria voce. È riuscita più spesso a parlare con enfasi della sua verità per bocca altrui, che si trattasse di un furlan-bolognese (Pasolini) o un milanese (Gadda), di un romagnolo (Fellini) o un napoletano (Sorrentino). Per forza poi succede che la Roma vince, festeggia, e fuori non capiscono. In fondo se lo chiede la canzone stessa che è l'inno degli inni di tutte le celebrazioni: dimmi cos'è. Basterebbe guardare.

(La Repubblica)