14/03/2023 08:22
IL TEMPO (S. PIERETTI) - Date a Cesare quel che è di Cesare. Ovvero una panchina, possibilmente quella del parco da condividere rigorosamente con i propri nipoti. Cesare Prandelli chiude con il calcio, e lo fa in una mattinata di quasi primavera con il disincanto che ha sempre mostrato nel corso della propria carriera. Da giocatore è stato un terzino vincente che ha avuto modo di spendersi principalmente per la Juve: la bacheca di casa ospita tre trofei dello scudetto, una Coppa dei Campioni, una Coppa delle Coppe, una Supercoppa Europea e una coppa Italia, vinte con la maglia bianconera.
La carriera da allenatore non è stata altrettanto prolifica, ma non è da tutti arrivare a essere et della Nazionale, l'ultimo commissario tecnico dell'Italia ad aver preso parte alla fase finale dei Mondiali. Da quel momento in poi, dopo il fallimento della spedizione in Brasile - era il 2014 - è come se qualcosa si fosse rotto, incrinato. Le esperienze successive alla panchina azzurra non sono state mai pienamente soddisfacenti, le delusioni sono state maggiori delle soddisfazioni. «Le richieste arrivano sempre - ha dichiarato l'ex ct a Radio Rai - ma la panchina che sto sognando è quella di un parco con i miei nipotini a godermi la vita con loro. Basta allenare». L'avvio sulla panchina delle giovanili dell'Atalanta era stato incoraggiante, con la vittoria del torneo di Viareggio e della Coppa Italia Primavera. Bergamo era stata una bella rampa di lancio che lo aveva proiettato verso altri lidi; Lecce, Verona, Vene-zia, Parma. Il culmine della carriera di allenatore in un club arrivò nell'estate del 2004 con la chiamata della Roma;
l'occasione sbagliata al momento sbagliato. La gioia di eseere approdato in una grande piazza disintegrata nel giro di pochi giorni dal dramma della propria moglie; in quei cinquanta giorni vissuti a Trigoria c'é tutto il bello e il brutto della vita, un'esperienza cre-puscolare, sfuggente, definitiva. La furiosa lite con Cassano fu il momento più eclatante e meno significativo, Prandelli voleva la Roma così come la Roma voleva Prandelli; una storia d'amore mai consumata, ma vissuta nella condivisione reciproca di una passione inesplosa.
Poi Firenze, un rifugio, una corazza dentro la quale proteggere un animo fragile; con i Della Valle fu amore a prima vista, i risultati furono altisonanti, con due piazzamenti al quarto posto e altrettante partecipazioni alla Champions League, e una semifinale di Coppa Uefa persa ai rigori contro i Rangers Glasgow. Poi il capitolo della Nazionale, presa all'indomani della debacle sudafricana, con una finale dell'Europeo persa contro una Spagna superlativa e un modesto Mondiale brasiliano in cui l'Italia venne eliminata nel girone di qualificazione dalla Costarica. Da quel momento in poi, è come se si fosse spento qualcosa; le esperienze con il Galatasaray, il Valencia, l'Al Nassr e il Genoa sono state un riempitivo privo di soddisfazione, il ritorno alla Fiorentina un déjà vu inopportuno: non bisogna mai ritornare dove si è stati felici. E Cesare, sulla panchina, felice lo è stato per davvero. Anche per questo ha deciso di lasciare.