04/06/2023 09:07
Durante l'assedio di Sarajevo c'era un vecchio scultore che andava in giro per le strade a raccogliere schegge di bombe che poi trasformava in statue. Ricavava bellezza dalla morte. In fondo, è una missione che spetta a tutti noi: ricercare qualcosa di buono anche nelle esperienze più negative. Lo facciamo in questa ultima domenica di campionato ricordando la brutta serata di Budapest. La scheggia raccolta e modellata si chiama Nemanja Matic.
Il suo sorriso a fine partita, in spettacolare contrasto con tutta la rabbia che lo circonda; il suo abbraccio a Paulo Dybala in lacrime; le sue parole sagge («Questo è il calcio...») meritano di essere esposti perché belli come una statua greca.
Matic, origini macedoni, è nato a Sabac, città serba al confine con la Bosnia. Nel 1999, durante la guerra del Kosovo, il suo villaggio è stato bombardato. Aveva 11 anni. Esperienze che lo hanno aiutato ancora di più a dare la giusta proporzione a una sconfitta sportiva.
Apparentemente il gesto di José Mourinho, che regala la sua medaglia a un piccolo tifoso della Roma, è una statua del genere. In realtà, la volontà dello Special One era solo quella di disfarsi il più in fretta possibile di una medaglia da sconfitto, per contestare platealmente il risultato della partita, considerato disonesto. Infatti non è rimasto in campo a onorare i vincitori come richiede il senso dello sport. Aveva fretta di raggiungere l'arbitro Taylor in garage per insultarlo ancora, come aveva fatto in campo, additando indirettamente al branco il direttore di gara, poi puntualmente aggredito all'aeroporto. No, anche dopo la partita, Mou è rimasto una scheggia ostile, non si è trasformato in statua.
Oggi, in occasione dell'ultima di campionato, il tecnico di Setubal verrà celebrato dal suo popolo che lo adora senza condizioni. Verrà visto da tanti come l'eroico rivoluzionario che si è battuto contro l'ingiustizia dei soliti poteri forti. Mourinho merita il plauso sportivo, perché raggiungere due finali in due anni e vincerne una resta comunque un'impresa, anche se la sua Roma avrebbe potuto giocare un calcio migliore, svincolandosi nelle fede cieca in difensori diventati perfino rigoristi. Nella prevedibile tempesta emozionale di oggi, non perdete di vista la statua del gigante Nemanja che abbraccia il piccolo Dybala e sorride con dolcezza. Con quel gesto ha protetto, a nome di tutti noi, la Joya del gioco e ha fatto il miglior regalo possibile all'immagine della Roma.
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(Luigi Garlando - Gasport)