02/12/2023 10:21
IL TEMPO (L. PES) - C’è qualcosa che non va. E non è l’inizio di un brano di Vasco Rossi di quasi quarant’anni fa, ma la presa di coscienza di come qualcosa anzi, più di qualcosa, nella Roma in assetto da trasferta non funziona. Il primo a sollevare il problema è stato Mourinho stesso, e i numeri non possono che dare ragione al tecnico portoghese. Dalla denuncia post Praga alle parole sui "banditi" prima di Roma-Udinese fino allo sfogo di Ginevra. A questa squadra manca carattere, soprattutto quando si va a giocare lontano dall’Olimpico, con l’aggravante di sottovalutare impegni europei in trasferta giudicati semplici (Bodo ha fatto scuola due anni fa).
Sulle sessantadue partite esterne disputate nella gestione Mourinho sono arrivate 22 vittorie, 16 pareggi e ben 24 sconfitte con 81 gol segnati e 83 subiti. Un bilancio col segno negativo che fotografa una tendenza pericolosa dei giallorossi nel rendimento lontano dalle mura amiche. Basti pensare che soltanto in campionato la Roma ha vinto soltanto una (a Cagliari) delle ultime dieci trasferte (4 pari e 5 ko) giocate in Serie A. E in questa stagione sono due le vittorie considerando anche il successo a Tiraspol nella prima gara del girone di Europa League. Un bottino troppo magro per una squadra che vuole puntare in alto. Punita la squadra di Mou da uno Slavia fino a qui quasi perfetto in Europa con la condanna ormai quasi certa a giocare il playoff di febbraio per il secondo anno consecutivo. E domani c’è un’altra trasferta, sul campo del Sassuolo, che contro le grandi solitamente si esalta (in questa stagione ha battuto Inter e Juventus).
La reazione è d’obbligo anche soltanto per dare continuità al buon momento in campo nazionale e alla risalita in classifica. Quel che resta sono le parole di un allenatore che della mentalità ha fatto il mantra della sua carriera e che non possono restare inascoltate perché suonano come un allarme concreto. Se davvero esiste, e i numeri lo confermano, un problema di struttura mentale della gran parte dei calciatori, e se dopo due anni e mezzo sotto la guida dello Special One nulla o quasi è cambiato nel lungo raggio, c’è da chiedersi quale futuro possa esserci per un gruppo di calciatori che in campionato viaggia nella mediocrità da cinque anni e che in Europa ama complicarsi la vita scegliendo quando spingere e quando no, prendendosi rischi inutili. L’allenatore, è chiaro, non può essere esente da colpe, ma la mentalità non si compra né si installa. Si può crescere, ma c’è chi sotto pressione si esalta e chi resta intrappolato. Non siamo nella stessa situazione post disfatta di Bodo, ma qualche decisione importante il tecnico la farà. E anche il desiderio di parlare comunque in conferenza post gara europea è un segnale forte. È di nuovo l’ora delle scelte.