La rivoluzione culturale anche a parole: sono tornati i tempi di Baldini

03/09/2011 21:07

Fabio Capello amava ripetere: “I panni sporchi si lavano in famiglia”. , nell'ultima conferenza stampa, i panni sporchi li ha lavati davanti a tutto il condominio, senza troppi problemi: “Il caso rischia di uccidere la Roma. Parliamone...”. D'altronde, l'uomo nuovo della comunicazione giallorossa, Daniele Lo Monaco, lo aveva detto chiaramente dal primo giorno: “I problemi non si risolvono nascondendoli”. La rivoluzione culturale è anche questa, non solo giocando alla . Giusto Luis Enrique non s'è ancora adeguato, almeno a parole: “Non devo spiegare le mie scelte tecniche”, a chi gli chiedeva conto della sostituzione di con lo Slovan Bratislava.

Ma a parte questo, sembrano lontanissimi i tempi di un pomeriggio d'ottobre di due anni fa, a Trigoria.A margine di un'assemblea dei soci della Roma, Gian Paolo Montali si aggira per i dintorni del centro tecnico scrutando qualunque cosa lo circondi, dato che da pochi giorni era stata ufficializzata la sua nomina. I cronisti, incuriositi da uno che si era fatto chiamare “l'ottimizzatore”, si avvicinano al signore distinto, colto e elegante, presentandosi e scambiando qualche battuta di circostanza. Lui, con galanteria, ricambia compiaciuto. Al che, il dirigente si gira verso la responsabile della comunicazione e dice: “Dottoressa, che ne pensa di indire ora una conferenza stampa per farmi conoscere?”. Un atto di cortesia verso i presenti, ma la risposta è perentoria: “No, no, oggi proprio no”. Non aveva ancora capito dove era capitato. In una società dove al comando c'era un presidente, Rosella Sensi, che, per dirne una, organizzava conferenze stampa a inviti, per evitare domande “border line”. Oppure, quando si palesava un giornalista con qualche considerazione fuori dal seminato, le risposte erano sempre più o meno le stesse: “Per favore, non voglio fare polemica”. “Io parlo solo per comunicati”. “Certi vostri colleghi mi vogliono mettere sempre in cattiva luce”.Eccetera, eccetera.

Ci provò Montali a cambiare le cose, che però veniva tacciato di logorrea: “Quanto gli piace chiacchiera'”, sussuravano i suoi colleghi. Per non parlare degli altri dirigenti, Daniele Pradè e Bruno Conti, rispettivamente direttore sportivo e direttore tecnico: per far conoscere i loro pensieri, si affidavano giusto a qualche intervista esclusiva sui giornali e ad alcune dichiarazioni post partita. Niente di più. Mai una conferenza stampa. Solo i calciatori, e in particolar modo, avevano licenza di “offendere”. Il capitano, all'indomani di un Roma- 1-2 surreale, non nascose il suo pensiero: “Tutto il mondo ha visto, abbiamo giocato quattordici contro undici”. Deferito.

, frustrato dopo l'ennesimo episodio dubbio in un Inter-Roma, sbottò: “A Milano è sempre la stessa storia, finisce sempre così. Mi piacerebbe vincere uno scudetto con questa maglia, ma ho l'impressione che sarà molto difficile”. Deferito. E anche bacchettato da Rosella: “Daniele ha sbagliato un po'... troppo a dire quelle cose”. In precedenza, ma molto in precedenza, il presidente Franco Sensi non le mandava a dire a nessuno, figurarsi ai signori del Palazzo: “Questo calcio è un'associazione a delinquere”, affermò in tempi non sospetti, quando Calciopoli poteva essere giusto il nome di un gioco da tavolo. Ma quella era un'altra Roma, indipendente e battagliera rispetto a quella della figlia. Con i nuovi proprietari americani sembrano tornati quei tempi lì, quelli di un dirigente, Franco Baldini, che definiva Luciano Moggi “Belmoth, gatto trasformista di una compagnia di diavoli, protagonista del “Maestro e Margherita” di Bulgakov”. Baldini è l'uomo degli americani. Tutto torna.



Tiziano Riccardi