Post Match - I primi 50 giorni di Ndicka

07/11/2023 13:50

LAROMA24.IT (MIRKO BUSSI) - La bulimia calcistica porta ad inghiottire nomi o profili, spesso più immaginari che corrispondenti al vero, per vomitarne fuori altri. Succede col calcio, figurarsi con la sua proiezione onirica, il calciomercato. Così, stringendo, quando è apparso Ndicka a Roma con la pregiata etichetta di "centrale dal piede mancino", solo i più caritatevoli hanno pensato di informarsi sui modi per smaltire quel rifiuto ingombrante che era di colpo diventato Ibanez, perché molti, invece, lo avrebbero lasciato di notte sul marciapiede di una strada laterale.

Finché, almeno, non ha parlato Mourinho, mostrando i segni che aveva lasciato la partenza del brasiliano, colmata finché possibile con il "figliol prodigo" Llorente. "Ndicka deve imparare a giocare con noi, non sa ancora giocare con noi" dirà prima di aprire la stagione contro la Salernitana. Poi, l'infortunio di Smalling ha obbligato a volgere lo sguardo da subito sul restante Ndicka. Da Roma-Empoli in avanti, infatti, il centrale arrivato a parametro zero dall'Eintracht non ne ha più potuta mancare una, fatta eccezione per i minuti finali contro il Monza. Un corso accelerato di ambientamento, che con Roma-Lecce si può quantificare in 50 giorni, prendendo come punto di partenza il debutto con l'Empoli.

La mappa dei tocchi in campo di Ndicka, specialmente se paragonata a quella di Mancini, il corrispettivo a destra, tratteggia la fisionomia di un giocatore che, nonostante le sembianze e le inclinazioni attuali del calcio, tende più verso la propria porta che tra i piedi dell'avversario. Non è un "braccetto armato", come quelli che vanno per la maggiore di recente, col mirino sempre, o quasi, puntato sul rivale e la tendenza a piombare nella metà campo avversaria anche in possesso, come invece si può intuire dalla sintesi su mappa di Mancini. È qui, infatti, che emerge la principale differenza con Ibanez e che, inevitabilmente, si ripercuote sulla struttura collettiva.

Il brasiliano era un cacciatore di taglie: andava alla ricerca di continui duelli individuali in cui sfogare la sua esuberanza fisica, con l'effetto, però, anche di giocare costantemente sull'orlo del precipizio. Tant'è che chiuderà l'ultimo campionato con 133 tra tackles e intercetti, dietro solo a Hjulmand (162) e Danilo (139), unico difensore a superarlo. Il bottino iniziale di Ndicka è di tutt'altro peso, con 2,18 tra tackles e intercetti a partita, una media che se proiettata sul campionato può portarlo, all'incirca, appena al 60% del fatturato fifinale di Ibanez. Non è migliore o peggiore, è semplicemente diverso. Come differente, infatti, è il modo in cui recupera il pallone Ndicka. Lo fa più tardi, magari più indietro nel campo, spesso con modi meno diretti, che nelle statistiche lo fanno stare in alto, infatti, tra blocchi e salvataggi, dove conta, rispettivamente, il 3° e il 1° valore della rosa della Roma.

Esempio pratico, prelevato dalla gara col Lecce: su una transizione negativa del secondo tempo, ancora scatenata da Banda in un presagio di quello che sarà lo 0-1 poi, la corsa a ricomporsi della Roma viene facilitata da un passaggio arretrato che mette Krstovic spalle alla porta al limite dell'area. Piuttosto che aggredirlo ferocemente, Ndicka preferisce mantenere una distanza di sicurezza anche quando Cristante va a contendere il pallone all'attaccante montenegrino. Con l'effetto di permettergli di sistemare la propria postura, ora rivolta verso Rui Patricio, ma continuando a tenere il duello fino a risolverlo a proprio favore, al momento del tiro di Krstovic, in posizione più decentrata ma a pochi metri dalla porta, con una scivolata che spicca per educazione, vista la capacità di mantenere le braccia ben legate dietro la vita.

Quella differenza di aggressività nelle letture difensive, legata anche a valori fisici meno spiccati per forza e rapidità rispetto ad Ibanez, porta effetti collaterali che magari potranno rendere la Roma meno efficace, sul lungo, nei comportamenti preventivi o nelle riconquiste alte. Differenza che torna anche nella fase di possesso dove le conduzioni spericolate di Ibanez hanno lasciato il posto alla gestione giudiziosa del pallone di Ndicka. Tanto che il numero 5 della Roma è il 3°, in Serie A, per percentuale di passaggi brevi riusciti. Un indice di precisione e familiarità grazie alla posizione a piede forte ma che sottintende, anche, un tasso di rischio particolarmente contenuto nelle giocate. Qui, però, il grafico si mostra promettente: nelle ultime due partite in casa, con Monza e Lecce, Ndicka ha totalizzato 16 passaggi progressivi, quelli che fanno avanzare sensibilmente verso la porta avversaria. Se 11 erano quelli incentivati dal canovaccio della partita contro la squadra di Palladino, altri 5 ne ha portati in dote domenica, per il suo secondo miglior risultato in campionato finora sul tema. Perché si può cambiare Ndicka per Ibanez, come ogni altro giocatore, purché si legga attentamente il foglio illustrativo.