Post Match - Uno su Mile

29/02/2024 10:59

LAROMA24.IT (MIRKO BUSSI) - Nell'ultimo aggiornamento installato da De Rossi nella Roma c'è quello, ormai di serie nelle apparecchiature di mezza Europa, del ruolo attivo del portiere. Perché se l'utilizzo delle mani ha permesso a Svilar di sfilare i guanti a Rui Patricio, la disponibilità generazionale all'interpretazione del ruolo secondo i canoni più moderni ne ha arrotondato, per eccesso, i guadagni della scelta. E la differenza si è stagliata in particolar modo nell'ultima gara contro il Torino, quando la Roma si è trovata a fronteggiare una delle specie più fastidiose in circolazione, come le squadre che vanno alla ricerca dell'uomo ripetutamente nei propri sistemi di pressione. Quell'uomo contro uomo che spesso ha irritato le pelli più sensibili nella gestione del pallone.

L'antidoto scovato, da tempo, ha come principio attivo proprio il portiere, il numero dispari che scombina le parità avversarie. E che lunedì ha portato Svilar a toccare un numero di palloni paragonabile agli altri primi costruttori romanisti, da Mancini a Smalling, fatta eccezione per Ndicka, il più stimolato. 43 i palloni gestiti, a fine turno, dal portiere contro il Torino, il 3° dato più alto della stagione per un estremo difensore. I due superiori, però, erano appena stati registrati sempre da Svilar: 52 contro il Feyenoord nel ritorno all'Olimpico e 54 nella trasferta a Frosinone. Il massimo a cui si era spinto Rui Patricio è rappresentato dai 39 nel derby finito 0-0 a novembre.

 

La prima scena della costruzione romanista, in forma di 4+2 lunedì sera, vedeva Svilar col pallone fintamente addormentato sotto la suola nel tipico invito alla pressione che De Zerbi ha tradotto dal calcio a 5 e diffuso, ormai da anni, sui campi internazionali a tal punto da fargli conferire, unanimemente, la definizione di luminare in materia. In sostanza, il portiere attende che il desiderio di riconquista avversario muova una pedina in pressione su di lui, liberando di conseguenza un compagno nei pressi. È quello che avviene con Vlasic, quando Svilar si rivolge da Ndicka con le mani, e poi, sul prosieguo della stessa costruzione, con Sanabria, liberando Smalling, che verrà raggiunto tramite terzo uomo (Paredes), come citazione fedele dei testi più popolari dell'attuale guru del Brighton.

Costruire "contro-pressione": quando è l'avversario, dunque, a indicarti la via d'uscita con le sue uscite in pressione, per cui, alla squadra in possesso, basta (si fa per dire...) seguire il percorso inverso per svicolare dalla morsa iniziale. "Provocare il pressing avversario è quello che facciamo, ma dietro a questa pazzia c’è un metodo preciso", ha detto di recente Lewis Dunk, capitano generale e nello specifico della costruzione del Brighton.  

Al netto di alcuni colpi di tosse dovuti al processo di apprendimento e, in particolare, della gestione emotiva di quei momenti in cui il pallone può arroventarsi nei pressi della propria porta, più volte contro il Torino la Roma si è creata presupposti che poi ha sperperato nei metri successivi. All'uscita dalla costruzione, infatti, ai giallorossi mancava lo sprint necessario a materializzare quel vantaggio numerico e situazionale che si era costruita con cura nella propria area. Tra conduzioni labirintiche di Smalling e difficoltà nel raggiungere i propri vertici offensivi, l'effetto finiva per svanire rapidamente riportando il Torino sotto la linea del pallone e obbligando, di conseguenza, la Roma ad un nuovo attacco posizionale. Perché, in fondo, quella costruzione sfacciata ha l'obiettivo primario nell'inclinare il campo in una pendenza favorevole che generi, di fatto, una veloce discesa verso la porta avversaria.