26/09/2012 15:47
IL GRAN RITORNO - Cè chi lo ama e chi lo odia. Nessuno spazio per lindifferenza. Del resto, anche lui non ha mezzi termini, né in campo né fuori. Il 4-3-3 il suo credo calcistico, dire sempre quel che pensa il suo credo davanti ai microfoni. Zdenek Zeman, nella stagione dei grandi addii di campioni e giovani promesse, torna alla Roma dopo 13 anni. Torna ed è quello di sempre: leterna sigaretta, le sue idee, i suoi schemi, le sue parole. Poche, ma pesanti. Il suo ritorno in Serie A assomiglia a un cerchio che si chiude. A 65 anni il tecnico boemo si ripresenta con il fascino di sempre, quello di eccellente maestro di calcio, scopritore di talenti e dal carisma immutato. Che piaccia o no, da venticinque anni, che sia sulla ribalta o ai margini del grande calcio, il personaggio resta irresistibilmente magnetico. Eppure Zeman, curriculum alla mano, è tutto meno che un grande vincitore. Un palmarés povero quanto è povero dumiltà il duo Carrera-Conte. Una promozione in C1 col Licata, quasi 30 anni fa, e due in serie A, col Foggia nel 91 e col Pescara qualche mese fa. Ma il suo è un calcio che ha sempre regalato bellezza, niente truffe: veloce, verticale, palla a terra, spesso ubriacante, senza stelle in squadra, ma con un manipolo di Saranno Famosi che lui puntualmente consegna al calcio. Verratti, Insigne, Immobile sono oggi quello un tempo sono stati Baiano, Signori e Rambaudi. E con la Roma riparte da questo, riparte dai giovani come Florenzi, Lamela, Tachtsidis e Destro. E riparte con la complicità di Francesco Totti che, a 13 anni di distanza, rimane il punto fermo della sua squadra.
EPPUR (NON) SI MUOVE Per tredici anni ha calpestato il terreno da gioco con la maglia bianconera addosso, cinque dei quali vissuti con la fascia di capitano al braccio. Ma il peso non lha mai sentito, anzi. E poi la panchina, dalla scorsa stagione. Antonio Conte ha la Juventus dentro. Ne ha stile, onori e oneri. Una carriera da allenatore fatta di luci e ombre: dalla promozione in A con Bari e Siena e lo scudetto con la Juve, al coinvolgimento nello scandalo del calcioscommesse, che lo ha portato a una squalifica di 10 mesi. Tra una professione di innocenza e laltra, Conte non ha mai abbandonato la sua squadra. Lha affidata a Massimo Carrera, quello antipatico, ma vincente, a cui fa da ombra e mentore.
DELEGATO - Da allenatore Carrera ha vestito solo bianconero. Dapprima come coordinatore tecnico del settore giovanile della Juventus, poi da tecnico ad interim della prima squadra, a partire dal primo incontro ufficiale della stagione, la finale di Supercoppa italiana contro il Napoli. La squadra bianconera s'impone per 4-2 ai supplementari e Carrera conquista il suo primo trofeo in veste di allenatore. Il 25 agosto successivo, persistendo la squalifica di Conte anche dopo il secondo grado di giudizio, colleziona la sua prima panchina in Serie A. E poi tre vittorie e un pareggio in campionato (oltre al 2-2 in rimonta contro il Chelsea allesordio in Champions League), sulla scia della vincente stagione passata. Sulla scia dell'atteggiamento che ha sempre avuto Conte, con cui - parola sua - ha un rapporto telepatico.
Tra una frecciatina e laltra (da Conte è squalificato, non dovrebbe allenare a Carrera ha vinto più in una partita che Zeman in tutta la sua carriera), sabato sera sarà finalmente il campo a parlare. Una gara in cui il primo obiettivo è uno stadio da violare. Una gara tra due esempi di opposte virtù che sa già di sfida scudetto.
Valentina Vercillo