06/04/2013 15:15
La normalità abitava (nel vero senso della parola ) a Trigoria da 7 anni e mezzo e aveva il volto ruvido di Andreazzoli Aurelio, fedele maggiordomo da Spalletti a Zeman, prima che questultimo venisse esonerato e la villa fosse affidata «temporaneamente» allallenatore che, da solo, oltre la C1 con la Massese non si era mai spinto. La voglia sgorga in una prolissa conferenza stampa del tecnico debuttante in Serie A a 59 anni, che sulla terra bruciata di due rivoluzioni tristemente fallite, chiede lo «0,2 per cento da tutti i dipendenti di Trigoria». Ma letichetta che lo accompagna nella promozione è quella di tattico, allora chissà che strategia avrà elaborato, quale arguto modulo avrà in serbo. Risposta: «I sistemi di gioco non contano niente (avvertenza: non gli schemi, ndr), i calciatori invece contano il 100%». Una normalità sconvolgente.
Il tratto che accomuna Vladimir Petkovic e Aurelio Andreazzoli parte dallapparenza e si conclude nella sostanza. Inizia nella carta didentità e nel cursus honorum che li ha condotti alla Serie A: se Andreazzoli è dietro solo a Ventura per età tra i 20 tecnici italiani, Petkovic ha ingrossato le fila della classe di mezzo che cerca di resistere allirruzione dei giovani, quelli che garantiscono, tra le altre qualità, il dovuto tributo allimmagine.
Ma le somiglianze arrivano anche allapproccio dei due con la materia. La convinzione di Petkovic, che ancora ripete alla vigilia di ogni partita, è quella del dominio del gioco, di una squadra attiva e che determini lo svolgimento della gara, piuttosto di unaltra passiva che attenda col rosario in mano che gli astri convergano in un punto favorevole. Lambizione dellallenatore di Sarajevo, però, scivolò sulla rosa laziale, incapace di dare limpronta richiesta dal tecnico. La manovra, infatti, è rimasta essenziale, non troppo differente dallimpostazione che aveva con Reja, anche perché ad aiutarlo arrivano le convinzioni di Andreazzoli, secondo cui sono «le caratteristiche dei calciatori a comporre il sistema di gioco». La rivoluzione, però, Petkovic lha attuata nella mente dei calciatori che ora hanno tuttaltra consistenza rispetto allo scorso anno, quando il primo evento negativo sconquassava lundici biancoceleste. E qualche scoria, inevitabilmente, si è ripresentata questanno: infatti, quando la Lazio cade, difficilmente lo fa senza fare rumore. 4-0 a Catania, 3-0 col Siena, così come a Napoli e col Milan. Tra queste, però, la Lazio ha saputo tenere a bada White Hart Lane con il Tottenham, dove lInter ha visto linferno, ha eliminato la Juventus dalla semifinale di Coppa Italia, reagendo al colpo tremendo del pareggio (quasi) allultimo.
Petkovic, in sostanza, ha saputo riconoscere e rispettare la natura della Lazio, quello che Andreazzoli ha pensato di ripetere a Trigoria, dove però cè una squadra senza natura per via delle rivoluzioni dellultimo anno e mezzo. Così, la «memoria della Roma», in quanto tale, ha ripescato lultima natura compiuta, risalente a quando era collaboratore, e con i brandelli rimasti del calcio che fu di Spalletti sta cercando di dare senso compiuto al talento che popola lo spogliatoio giallorosso.
Quindi il derby. Ad Andreazzoli può regalare un gioiello, da far valere quando ci sarà da tirare una riga sul suo operato; a Petkovic può impreziosire il percorso, dopo aver raccolto il successo dell'andata, quando fu la Roma a fare tutto, nel bene e nel male. Perché il derby è sempre una partita speciale, ma stavolta in mano ad allenatori "normali".
Mirko Bussi